Mi stupisco sempre quando vedo i miei colleghi su LinkedIn, copywriter o professionisti della scrittura come me. Mi stupisco di come riescano ancora a scrivere fuori dallo spazio di lavoro, a trovare il tempo, la forza, la serenità mentale, non tanto per pensare – perché pensiamo tutti, sempre – ma per mettere in ordine i pensieri, dare loro una direzione, un senso.
Se dovessi definire il mio lavoro, direi che si tratta appunto di questo: mettere in ordine i pensieri. Non è una definizione convenzionale, me ne rendo conto, per un lavoro o un servizio professionale. In fin dei conti, perché mai qualcuno dovrebbe pagarmi per ordinare i pensieri nella testa?
In verità, nel caso del content writing, la faccenda è più complessa. Ci sono alcuni tasselli in più da tenere in considerazione. Quindi, insomma, io scrivo:
- per ordinarmi i pensieri (più che un fine, una conseguenza)
- per ordinarli al posto di un altro (che non ha tempo o voglia)
- per renderli ordinati agli occhi degli altri
Lo si può capire meglio pensando a come funziona la costruzione di un piano editoriale. In quella situazione, tenendo a mente le esigenze del committente, mi focalizzo su almeno tre aspetti che considero fondamentali: di chi si parla, di cosa si parla, qual è la natura della questione.
Dunque si tratta sempre di ordinare i pensieri su una materia e consegnarli al pubblico, più che al committente, un pubblico di lettori o utenti. Consegnarli già in ordine, così che siano accessibili, facili da comprendere. Come proposta di valore forse oggi è debole, se pensiamo che l’intelligenza artificiale è qui per fare tutto questo al posto nostro. Spetta forse a lei, adesso, il compito di mettere in ordine i pensieri – quelli nostri, quelli altrui? Può darsi. Di questo ci stiamo convincendo.
Se scriviamo con l’AI
Una cosa che faccio io, per esempio, è darle in pasto i miei pensieri abbozzati e aspettare che vengano fuori un senso intuibile. Non sempre succede, o meglio, non sempre ne sono soddisfatta:
- lì dove l’intelligenza artificiale non capisce (per colpa mia, s’intende; perché sono stata ambigua oppure ho saltato un passaggio) spunta fuori un’informazione in più per coprire il gap, ma quasi mai corrisponde a quello che avevo in mente
- in più, il suo modo di mettere in ordine è noioso, robotico, manca di armonia, suono, non dico poesia, ma proprio suono, ritmo.
Nel romanzo Solaris (1961), il protagonista Kelvin si chiede se possa esserci un pensiero senza che ci sia coscienza. Mi viene da dire che le AI ci vanno molto vicine. Può esserci però comunicazione senza ritmo? E può esserci ritmo senza sentimento e cuore? Rispondere mi risulta difficile.
Del resto scrivere è, sì, mettere in ordine i pensieri, ma anche renderli comunicabili, accessibili – e lo stesso accade nella narrazione, che è un modo per comunicare pensieri, in fin dei conti, nascondendoli dentro una storia – secondo strutture umane, non robotiche.
La questione del tempo
Il discorso dell’ordine, o del mettere in ordine, si collega sempre tempo. Serve tempo per scrivere – no, anzi: serve tempo per pensare e ordinare. Io, adesso, qui, scrivo: ma c’è stato un momento precedente all’atto della scrittura: il momento del pensiero disordinato, che ho ordinato infine su una pagina vuota. Il pensiero, quindi, è stato generato, coltivato, elaborato – e nemmeno troppo bene, lo confesso; ora che rileggo, questa riflessione mi suona caotica e fragile.
La questione del tempo mi preme oggi soprattutto, mentre le mie scadenze si accumulano e mi costringono a rinunciare a qualche scritto – qualche scritto, cioè sempre quelli che non pagano, ovvero i miei personalissimi e preferiti. Non riesco a scrivere tutto perché il tempo manca; manca soprattutto a me che scrivo per lavoro (nonostante qualcuno si ostini ancora a definirlo lavoro dei sogni).
La mia testa, che mai ha deluso finora, non riesce – e mai riuscirà, perché sarebbe disumano – a elaborare più di un ragionamento su più di un argomento nello stesso preciso momento. Tra un pensiero ordinato e l’altro, c’è bisogno di recuperare – come del resto fanno gli atleti dopo un allenamento. E più è complicato l’argomento, maggiore sarà il tempo utile al recupero mentale.
La scrittura, in tempi frenetici, velocissimi, non può che perdere di senso, assottigliarsi, richiudersi dentro pensieri semplici. E non si riesce a fare altrimenti: perché il pubblico è esigente, perché se non scrivi scompari, perché le notizie hanno fretta e perdono rilevanza nel giro di poche ore, perché alle aziende interessa la produttività. Allora, a chi scrive non restano che due strade:
- cedere alle AI e affidare a loro il pensiero disordinato
- scrivere male e (o) scrivere semplice.
Rinunciare, insomma, all’ordine, alla chiarezza. Talvolta pure al significato.
Perciò vorrei tornare a un tempo lento.
È bello scrivere se il tempo è lento.
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